Il bisogno de un sogno

IL NOSTRO BISOGNO DI UN SOGNO

A cura di Alberto Eiguer

 Il progetto

Abbiamo bisogno di sognare durante il sonno ma questa funzione, in altre modalità  si estende, quando siamo svegli, Ad esempio com  alla nostra reverie e nel momento in cui sognamo di un futuro che ci auguriamo migliore. In questo saggio lavoreremo su queste due differenti dimensioni. Il sogno della notte è essenziale per la nostra economia psichica e la possibilità di allucinare  i nostri desideri repressi. Se così non fosse, questi disturberebbero  ancor più delle immagini dei sogni  per quanto spaventosi o terrificanti che siano. Abbiamo bisogno di fantasticare per sviluppare la nostra attività fantasmatica,  che ci permette di affrontare i nostri interrogativi, rassicurarci di fronte alle difficoltà e prepararci ad affrontarle (capacità di reverie, Bion, 1959).

Abbiamo anche la necessità  di progettare noi stessi nel futuro e di anticiparcelo (il futuro),    immaginandolo radioso e questo per nutrire il nostro ideale dell‘io , più moderato e meglio adattato alla realtà  di quanto non lo siano i  sogni  più utopistici.

Tuttavia le utopie non sono solo necessarie : esse propongono anche un ordine per organizzare dei dispositivi del futuro.

A questo titolo ricordiamo la funzione delle utopie nella Storia che hanno preparato la società ai cambiamenti indispensabili al progresso dell’umanità : quelle di Thomas More (1516), Babeuf ( 1789 – 1797) o Saint- Simon (1802).

Tenteremo infine di trovare dei punti comuni tra queste differenti forme del sogno. Pensiamo alla configurazione degli ideali, alla ricerca della felicità e all’augurio di calmare l’angoscia della morte.

 

A cosa servono i sogni

Via regia  verso l’incoscio, il sogno ha suscitato la produzione di  numerosi saggi, da Freud (1900) che gli ha del resto attribuito un posto d’onore già dai primi istanti. Quelli che hanno avuto il coraggio e gli argomenti per criticarlo lo hanno reinterpretato ma non depotenziato nel suo valore.

. Non vi propongo una rimessa in questione della teoria del sogno, ma da un lato un allargamento, un ampliamento del suo irraggiamento e dall’altro, l’applicazione ad altri aspetti della vita psichica che ne hanno eventualmente modificato la sua interpretazione.

Per quanto riguarda l’ampliamento , esistono dei precedenti nei due registri della analogia e della metafora. Per quanto concerne l’applicazione ,quella che si riferisce al gruppo, ha permesso di attribuire al sogno un’ altra qualità.

La polifonia del sogno (Kaes, 2002) in cui il sogno può moltiplicarsi in più vie, per esempio quella dei membri di un gruppo che esprimono attraverso i loro sogni dei fantasmi convergenti o complementari. Essi si associano in una attività psichica collettiva.

Quando dico attività psichica, mi riferisco al funzionamento mentale inconscio, che Freud vedeva come un lavoro e principalmente come il lavoro che lo psichismo realizza  per produrre il sogno. Questo modello si applica all’idea di lavoro del lutto ed  interviene nella  libera associazione, si ritrova nel lavoro della seduta in cui il paziente è portato a ridurre i suoi movimenti e non  vede il suo analista e più largamente nelle altre attività della mente come il sintomo (cf. per es. con il « lavoro della malinconia » proposta da Rosenberg, 1992), o nella creazione artistica (Anzieu, 1980)

. Anche nella ricerca psicanalitica, il lavoro psichico del sogno è un riferimento  fondamentale e lo è, in senso più lato,  riferito a qualsiasi investigazione inerente a un campo analitico (cf. S. Botella, 2015).

In altri termini, nella misura in cui il lavoro psichico di un gruppo è compreso come il lavoro del sogno, si possono vedere i sogni raccontati in seduta di gruppo come uno stesso sogno. In fin dei conti non ci si trova più nel campo della analogia o della metafora ma in quello del modello.

Il lavoro del sogno è il modello universale dello psichismo ?

E, altra questione, a cosa servono i sogni, quale è, dunque,  la loro funzione?,

Prima di sviluppare le dimensioni dell’ampliamento e dell’applicazione della teoria del sogno, ecco qualche richiamo  sulla funzione del sogno.

Dufourmantelle (2012, p. 11) ne propone una sintesi : « Ciò che il sogno può fare è immenso : riparare, rammentare , profetizzare, ascoltare, mettere in guardia, terrorizzare, calmare, svelare, liberare e permettere di dimenticare . ».

Nel sogno prendono corpo delle situazioni e delle persone sparite dalla memoria immediata, che tuttavia noi non abbiamo voglia di ritrovare, ma che ci pongono di fronte al dilemma di respingerli di nuovo o di accoglierli nell’orrore, nel dolore, nella costernazione. La sola soluzione che ci resta è di dar loro un’altra vita attraverso la loro trasformazione continua  – Duformantelle (op. cit.)  – facendo appello alla loro « conversione ». In ogni modo il fatto è  che questi ricordi non possono più attendere tanto ci disturbano .

C’è  una urgenza di occuparsene  prima che il sentimento di estraneità ci stordisca.

Non sopportiamo che l’enigma ci paralizzi, ma decifrarlo sarà un capitolo di un trattato immenso.

Ogni risposta rinvia a un’altra domanda , fino ad arrivare agli enigmi fondanti: perchè la vita ? perchè la morte ? perchè il sessuale ? perchè esistono  differenze tra le persone, perchè la nostalgia del passato e la paura del futuro?

Come si dice « una disgrazia non arriva mai sola » ,  si dovrebbe anche dire « un enigma non arriva mai solo » . A questo punto le immagini del sogno che emergono significano che è arrivato il momento di integrare queste situazioni e questi vecchi personaggi nel nostro pensiero nel presente.

Detto ciò cosa privilegiare tra passato e presente, o tra piccolo enigma domestico e grande enigma universale? Si può ammettere di non poter  risolvere ciò che ci  interroga del passato con ciò che ci opprime nel quotidiano?

A titolo di es. universale ecco una domanda : perchè vostro padre ha scelto una moglie bionda, vostra madre, e voi preferite le rosse? E perchè tanti uomini come vostro padre preferiscono le bionde e un certo numero tra loro rifiuta le rosse perchè le descrivono come non autentiche ? Sarebbe arduo passare repentinamente dal registro del passato a quello del presente, come lo è passare dal campo privato a quello universale.

. Numerose tappe intermedie deviano il fiume dalla sorgente allo

sbocco : sbarramenti, meandri, vortici, rapide.

Si è tentati di aspettare che sorgano nuovi sogni a chiarire la situazione . E ci si dimentica spesso  che due fatti e due soggetti sono indispensabili per capire il mistero del sogno : le associazioni del sognatore e la presenza di chi interpreta il sogno stesso.

Tra il sogno sognato, il ricordo di esso al risveglio e il racconto che se ne fa all’analista, il contenuto si modifica. Sognamo per noi stessi e ci ricordiamo di questo sogno al risveglio, ma sorpresi e sconcertati, cerchiamo di trovare al più presto una spiegazione al nostro stesso sogno (elaborazione secondaria, Freud, 1900).

Il racconto è una sintesi di questi ricordi trasformati e in più il sogno è sempre sintesi di ciò che noi presagiamo che l’interlocutore dedurrà dal nostro racconto,  sintesi di ciò che immaginiamo concerna le sue aspettative  e sintesi dell’orientamento che  sempre l’interlocutore darà all’interpretazione.

Allo stesso tempo, il racconto cerca di dare una forma al contenuto del sogno, propone una traiettoria per le scene allucinate, una trama, un intrigo. La forma è abbastanza personale. Non si dice che « lo stile fa l’uomo »? Tuttavia queste modifiche non rappresentano un ostacolo alla interpretazione. Sarebbe assurdo considerarle come scorie , non solo perchè il sogno sognato non è accessibile ma perchè (esse) lo arricchiscono. Le scorie aggiungono dei segni rivelatori. Freud ( op. cit.) che diceva che senza associazioni non si può capire il sogno,   considera il tutto.

Nella creazione del sogno, il contesto è essenziale. Uno stesso sogno presentato in analisi la mattina del lunedì, giorno della prima seduta settimanale, si modifica se viene  raccontato nell’ ultima seduta della settimana.

Il processo analitico lo impregna dei suoi ritmi e delle sue tappe. Ogni sogno può cercare di risolvere delle difficoltà del momento analitico. Questo rimette in dubbio l’idea che il sogno non abbia  una sua intenzionalità.

E’ vero che il lavoro del sogno non ha altri scopi se non la salvaguardia del sonno evitando che stimoli interiori o esteriori lo turbino. Ma succede che durante il processo analitico il paziente viva delle difficoltà, delle emozioni, degli enigmi che sono singolari, nuovi o riprodotti dal  passato e avviene che questi scogli lo assillino: senza risolverli non si può avanzare.

Non ci sono difficoltà grandi o piccole : la paura di perdere la fede o di camminare male a causa di un sassolino nella scarpa sono disturbanti alla stessa maniera. In ogni caso il sogno può essere inteso come un campanello d’allarme.

Per integrare questa realtà clinica, dovremo ammettere che esistono sogni che lavorano sulla china  del vecchio conflitto e altri che tentano di avvisare il sognatore che qualcosa di grave succederà nel suo apparato psichico : una effrazione, una incrinatura , una siderazione, una disorganizzazione. Al termine dell’analisi, si può capire che l’uno mette in luce l‘altro.

Ci sono anche sogni che sintetizzano una moltitudine di situazioni e vissuti. Sono i sogni che fanno  il punto  della situazione (J. Guillamin, 2006), così come esistono sogni che risolvono problemi essenziali permettendo di « voltare pagina » (J-P Quinodoz, 2001) o anche « grandi sogni » ( A.Dufourmantelle , 2012, p. 29-30).  A.Dufourmantelle dice  » Cos’ è un grande sogno ? Una possibile riparazione. E anche una raffigurazione. Una raffigurazione di sé attraverso la quale il sognatore raggiunge la conferma del suo essere; il grande sogno è

Un appuntamento che il sognatore dà a se stesso ». E ancora  » La possibilità di guarire, che il soggetto ignora, è una capacità che attraverso l‘analisi rivela.  Il sogno ci mette di fronte alla sua presenza,almeno fino a che noi le offriamo ospitalità ».

 

Il lavoro del sogno

L’asse maggiore del sogno è tuttavia il lavoro che conduce dalla rappresentazione incoscia all’allucinazione. Si deve far fronte a un grande numero di sfumature e correttivi.

Questo lavoro interviene durante il sogno per produrre la trasformazione dei desideri inconsci, cercando la realizzazione dei loro disegni. Ma le tracce restano ancora offuscate perchè si è dovuto aggirare la censura. Lo spostamento, la condensazione, la figurazione, la simbolizzazione sono gli strumenti di questo lavoro. Di conseguenza, questo lavoro è profondamente « influenzato » : il ricordo al risveglio, il racconto che se ne fa ad un’altra persona, l’analista che interpreta, un’interpretazione che il paziente,  a sua volta, fa operare dentro di sè.

Sono degli emergenti successivi come diceva Pichon – Rivière (1970). E l’ ulteriore conferma del paziente è la garanzia della validità di tutto questo processo. Questo è pensabile  nella misura in cui un lavoro simile a quello del sognatore interviene  nella seduta : l’analista realizza l’auto-analisi dei suoi vissuti contro-transferenziali grazie agli stessi strumenti che si usano nella formazione del sogno.

E’ un ritorno alle origini, non in una ripetizione ma in un movimento a spirale dialettica che integra, conseguentemente, le trasformazioni.

Civitarese (2015) dice : « Il sogno è sì il guardiano del sonno ma soprattutto del sonno della veglia – nel senso di stato di veglia – o della coscienza e dell’illusione,  dell’ effetto della realtà che lo penetra.

Ora, l’identità del soggetto si costruisce attraverso una delimitazione costante, una costruzione di limiti, frontiere tra la realtà materiale e la realtà psichica, tra il sogno e la veglia.

Diventare una persona implica che si acquisiscano le capacità di attraversare queste frontiere e allo stesso modo si abitino confortevolmente i differenti mondi possibili nei quali viviamo simultaneamente. Questo ci permette infine di concepire che gli altri hanno una psiche, psiche con la quale ci si può identificare. »

Sogniamo tutto il tempo addormentati o svegli ma il sogno non ha significato senza tutte queste elaborazioni o reinterpretazioni.

Infine, il sogno è necessario perchè:

  • permette di liberarci dal carico del passato (economico),
  • ci avvicina ai nostri conflitti essenziali e li rende più accettabili tanto da convivere con loro più in pace (dinamico),
  • rilancia la nostra relazione tra le differenti istanze, l’io e il super io , il conscio, il preconscio e l’inconscio, riconnettendole e rendendole, in questa maniera, operative (topico).
  • rende utili sia la nostra immaginazione, che crea delle figure, sia il nostro ricordo delle origini che ci hanno trasmesso un’etica.
  • mantiene così in funzione tutti questi circuiti. Il nostro psichismo ha sempre bisogno di fantasmare/creare fantasmi : « amare e lavorare » – come dice Freud –  sugli scopi dell’essere umano.
  • contribuisce al nostro benessere, e, perchè no, alla nostra felicità.
  • Se aspiriamo ad una certa creatività, l’ideale si mobilita come ideale dell’io solo a patto di configurare degli scopi e dei progetti. Creare è senza dubbioprogettarsiin unfuturo possibile.

 

Ampliamenti e applicazioni

 Torniamo ai due sviluppi del sogno, l’ampliamento e l’applicazione.

Nel caso dell’ ampliamento, prima di tutto parliamo dell’analogia. Mélanie Klein (1935) ha visto nel gioco infantile un equivalente del sogno, attraverso il meccanismo dell’ azione. Ciò che rende l’analisi infantile possibile è che, se il gioco assomiglia al sogno, le sue espressioni permettono di svelare i segreti dell’incoscio del bambino con la stessa spigliatezza con cui si svela il sogno dell’adulto.

Bion (1959) ha riconosciuto nella reverie una produzione simile a quella che si riscontra nel sogno; la analizzeremo quindi in modo prioritario.

Per Bion la reverie è creativa; la madre se ne serve per anticipare le esigenze del bambino. Ella manifesta attraverso la reverie la sua empatia affettiva e la sua umanità. Per umanità intendo la sua sensibilità, la sua propensione a fantasticare, a pensare augurandosi di capire il bambino, di sollevarlo dalle sue paure, dalle sue incertezze.

Allo stesso tempo la reverie  mette in gioco ciò che possiamo fare di meglio per calmare le nostre angosce e trasformarle.

Nella reverie della madre, c’è dell’amore per il bambino espresso attraverso l’invito a interiorizzare il linguaggio degli uomini : i processi secondari e la logica deduttiva ne vengono integrati Questi movimenti permettono a chi riceve le produzioni di una reverie di esistere,  si propongono  a questa persona degli strumenti che le permettono di legarsi agli altri e di intavolare relazioni durevoli e profonde con loro. Tuttavia, queste intenzioni restano completamente inconscie .

Reverie non significa volontà di educare; la sua efficacia dipende dall’intersoggettività nella quale essa si inscrive, questa favorendo la sintonizzazione tra psichismi. Per questo motivo la madre , attraverso la sua reverie, mostra i suoi limiti; non sa rispondere al bambino se non essendo immaginativa. Lei stessa ha ben  lavorato  prima di capire le cose, ha dovuto ammettere i limiti del suo sapere. La reverie implica l’altro dalla madre, ciò che le ha fatto capire come funzionano il pensiero, la sua propria madre e la sua propria reverie.  Anche la legge del mondo e i suoi divieti determinano la reverie.

Bion parla di reverie in senso lato; essa è la testimonianza del funzionamento mentale, della decrittazione dei segni, ha una funzione comunicativa e di trasmissione, ma fondamentalmente Bion pensa all’analista e alla cura. Si preoccupa di quanto noi analisti abbiamo di diverso e provocatorio di fronte ad un paziente disorientato, di ciò che può fare cambiare la situazione del paziente.

Si può obiettare che il gioco e la reverie ci trovano svegli, per niente sorpresi e disarmati come , invece, il dormiente che sogna.

Forse è questo il destino delle analogie. Se si paragona un elemento ad un modello, si trova che l’elemento non risponde a tutte le condizioni del modello.

Per mettersi in azione, il gioco deve basarsi su oggetti materiali, il sogno no.

Un’altra distinzione : diversamente dal sogno diurno, quello notturno non può essere invocato ; quest’ultimo è completamente non prevedibile, né per quanto riguarda il momento in cui si svolge, né perquanto riguarda il contenuto. Sicuramente i sogni poggiano anche su resti diurni di eventi recenti e di persone incontrate in determinate circostanze. Ma il lavoro del sogno vi si appoggia al fine di far passare il messaggio dei conflitti rimossi.

In conclusione, l’analogia deve limitarsi ai meccanismi del lavoro psichico che li mobilita, ciò che non è un difetto o un impedimento, anzi, al contrario.

Per quanto riguarda gli ampliamenti  sotto formadi metafora, citiamo i precursori  della teoria del champ che applicano largamente le scoperte di M. e W. Baranger (1961) : T. Odgen (2008), A. Ferro e R. Basile (2009), G. Civitarese (2015) ecc.

Questi desiderano  mettere il sogno in primo piano in quanto modello paradigmatico di lavoro che attiva la vita psichica in maniera permanente. Relativizzano il determinismo sessuale infantile e il transfert e il contro transfert. Ciò che conta è come le cose si articolano nel presente della seduta e in presenza di un altro psichismo, quello dell’analista.

Riguardo le applicazioni, ricordiamo i lavori di Kaes (op. cit.) che con la polifonia del sogno sottolinea come parecchi esponenti di un gruppo che raccontino i loro sogni in seduta, esprimano una matrice comune. Lo psichismo di gruppo configura una articolazione tra psichismi che diventa un neo-psichismo. Nei sui studi sul gruppo famigliare, A. Ruffiot (1981) è ancor più radicale  quando deduce che lo psichismo ha un  » sfondo onirico ».  L’indifferenza regna tra corpo e mente, regna tra i soggetti e i loro  psichismi, tra le rappresentazioni e tra gli affetti. Questi elementi tendono a costituire una massa unica. Questo favorisce il raggruppamento di fantasmi e affetti come  nel sogno notturno in cui ciascun personaggio può simbolizzare il soggetto stesso o un altro, non importa quali idee, parole, figure allucinate possono rinviare a loro stesse o al loro contrario.

[…]

 

Commenti

 Il sogno ci apre più prospettive quando lo comprendiamo in rapporto alle sue estensioni e applicazioni : con il gioco consideriamo anche la reverie, la creazione di fantasmi che è la fonte più ricca di creatività. Nuovi sviluppi e  scoperte sono messi in evidenza : il sogno ci offre la possibilità di enunciare l’interpretazione di gruppo come una costruzione. Non è soltanto un mediatore ma un messaggero che arriva dal profondo degli esseri dove ha sede l’intimo onirico. Ogni sogno ha un significato ; esso riporta ciò che non può essere negato, rigettato, ridotto al silenzio. Questo apre la gabbia dove sono rinchiusi tanti tormenti e tanti problemi.

 

L’ideale e l’utopia

Lavoreremo ora sull’idea che si sviluppa da una utilizzazione diversa della parola sognare, l’idea che il sogno ci proietti nel futuro che immaginiamo migliore, più esaltante, e più favorevole alla felicità. Affinchè sogniamo in questo modo comunque abbiamo bisogno di un ideale che ci guidi in questo senso.

Per questo voglio discutere del concetto di ideale. Lo dico subito : apprezzo molto l’ideale ; è uno degli ingredienti più saporiti della nostra esistenza (Lacroix, 2007). Un sogno?

Si tratta di forma figurata o metaforica ? Preferisco dire che è in senso più metaforico che figurato, cioè che introduce un  » come se sognassimo ».

Al contrario, il gioco immaginativo è una forma del sogno in senso figurato : è un gioco che ci fa credere, per esempio, di realizzare laconquista di una donna che ci ha rifiutato o che (ci fa credere) che vinciamo un concorso che fino a questo momento abbiamo fallito..

Il senso metaforico del sogno è uno dei suoi sensi tuttavia molto ricchi. Trasmette un’ idea e un’ ambizione che non si sottomettono alla prova della realtà, cosa che rischierebbe di lasciarlo invadere dalle nostre miserie e turpitudini.

Sognare un ideale è positivo, senza obbligo, senza dolore, con un doppio sguardo rivolto al presente e al futuro,  è calmo e inebriante,  resiste  alle rimesse in discussione, come la Fenice che muore e può rinascere dalle sue ceneri. Abbiamo bisogno di ideale ; è il nostro spirito che ha bisogno di ringiovanire assorbendo le esaltazioni del crederci.

A volte  gli analisti attribuiscono all’ideale  una cattiva reputazione. Assimilato all’idealizzazione l’ideale ci ricorda che questa è una difesa di fronte alla persecuzione ; questo ha contaminato il prestigio dell’ideale che al contrario non ha scopi difensivi.

Non si può dimenticare che l’ideale soffra di due mali : il sospetto e la relativizzazione.

Il sospetto cerca di smontarlo , il relativizzare cerca  di  sfumarlo o peggio di mostrare la sua debolezza.

L’ideale cerca di difendersi da questi attacchi ; per questo il soggetto « capisce » in fretta che non basta invocare l’intima convinzione o le ragioni del cuore ma bisogna trovare delle idee alternative ben fondate per proteggere i propri ideali.

Tra gli ideali a cui teniamo maggiormente, Bonnet (2012) cita la bellezza, la fedeltà, la verità, la tenerezza, il rispetto dell’integrità altrui. Per apprezzare l’ideale, una delle condizioni è di vedere in esso qualcosa che ci trascende. Anche se lo sentiamo in noi, l’ideale si localizza al di là di noi stessi.

La psicologia della famiglia permette di capire l’ideale come un’ aspirazione che ci ingloba tanto più che noi associamo il nostro ideale a quello degli altri « tutti quelli che condividono il mio ideale sono dei fratelli ». Questo ci esalta. L’ideale non è quindi impersonale ma pluripersonale. Abbiamo colto che se i nostri genitori si sono occupati di noi e hanno vegliato sulla nostra salute con amore e devozione  dalla nostra nascita è perchè tengono in alta stima la vita e il mondo; vogliono condividere con noi le loro gioie cosìccome trasmetterci i loro ideali. L’ideale è cosi’ bonificato e garantito  dall’amore e la cura dei genitori : se noi ci attacchiamo così fortemente ai nostri ideali è perchè sentiamo una forte  gratitudine verso i nostri genitori.

L’ideale è anche impregnato di etica e, a questo titolo, eredita valori famigliari forgiati da generazioni. Noi teniamo a questi valori perchè questi si fondano con la nostra appartenenza e con la nostra identità.

Tuttavia ciò non ci dice se un determinato ideale sia raggiungibile nè se risponda alle qualità etiche che i genitori gli attribuiscono, nè se ci permetterà di raggiungere le vette che

promette.

Una credo resiste a queste messe in guardia : al di là del colore dell’ideale crediamo sia sano avere degli ideali. E anche se i nostri ideali non sono identici a quelli dei nostri genitori, questa convinzione è conforme alle loro leggi.

Per il fatto di essere un prodotto della nostra immaginazione, l’ideale ha un’altra caratteristica che ci interessa; appartiene a quelle produzioni che coinvolgono la nostra sensibilità e soggettività : l’ideale appartiene alla realtà psichica. Ciò spiega come la sua forza ci impressioni e come sia grande la tentazione di considerarlo come una certezza : ci accompagna e ci guida; nutre anche i nostri desideri. Come l’ideale dell‘io, l’ideale ci permette di trovare degli equivalenti nella realtà psichica degli altri membri del gruppo famigliare; predispone al farsi gruppo, lo incoraggia persino (Eiguer 1981).

Ma che l’ideale sia considerato una realtà psichica non basta per affermare che si trova al di fuori della realtà, che sia quindi pura invenzione (Bonnet, 2010; 2012). Ci spinge a sognare ciò che è fondamentale per stimolarci. E se non lo raggiungiamo, ci permette di moderare la nostra delusione : sappiamo che l’ideale  è una promessa e che come tutte le promesse la sua realizzazione dipende dai rischi della vita, anch’essi tributari di altre forze differenti dai nostri desideri.

Ora, se noi non accettiamo la delusione è perchè attorno all’ideale orbita un’altra cosa, per esempio una missione ordinata dal trans-generazionale, un desiderio di rivincita a causa di un destino un tempo infranto, un rovescio di fortuna mal accettato, il sentimento di aver subito un’ ingiustizia. Più l’ideale è vissuto come un obbligo, più è possibile che noi siamo parassitati  da un incarico a nome di altre persone.

Tuttavia l’ideale non riesce a trasformare il discendente in giustiziere. L’ideale di giustizia ha la sua ragione di essere, ma noi non abbiamo l’obbligo di essere il suo braccio esecutivo. Questo rimerebbe con auto – generazione.

Ad ogni modo, l’ideale non ci delude mai; sono gli individui che ci procurano dolore a causa della loro incostanza e infedeltà verso i loro propri ideali. Se a causa dei nostri fallimenti ci sentiamo scoraggiati possiamo trovare un po’ di consolazione nei nostri ideali, continuando ad assumerci le nostre responsabilità (cf. Cuynet, 2017).

 

Il bisogno di sognare un mondo diverso, possibilmente migliore

 Il sogno dell’utopia non è nato da una deviazione della realtà considerata dolorosa, frustrante o terribile. Non è nemmeno la realizzazione di un desiderio infantile o di una idea politica promessa in anticipo prima del fallimento. L’utopia è una sana pretesa di superare i limiti di un mondo per il quale si può aspirare al progresso. Dopo l’analisi delle derive e dei malintesi legati all’utopia, F.Rouvillois (1998) vede nell’utopia una naturale aspirazione  alla perfezione. Dice che l’utopia appare come « il sogno di una perfezione conquistata » ( p. 19).

Aggiunge che l’utopia « può avere qualsiasi faccia, può insinuarsi dappertutto, nei trattati filosofici o politici, nei progetti di costituzione, nella poesia e nella canzone, nei racconti di viaggio e nei romanzi iniziatici », la si può immaginare su un’isola lontana o nello spazio più vicino. L’uomo pensa all’utopia « a suo proprio vantaggio » (p.18) – dice – ed è fiero di constatare sia i progressi che le sue invenzioni (macchine o cibernetica) apportano, sia le virtualità offerte dall’educazione.

Quest’ ultime occupano un primissimo posto nel sistema utopico con l’augurio di evitare che gli umani ricadano nella barbarie (p.23).  Il sogno utopistico crede nella natura umana, crede che il bisogno di giustizia, di fratellanza, di prosperità possa predominare sulla bramosia, la rivalità invidiosa, la violenza.

  1. More (1516) per primo ha descritto una città ideale su un’isola, Utopie. Che la sua opera sia stata rivoluzionaria (oggi diremmo di anticipazione) lo attestano le descrizioni che

si leggono e che sono diventate realtà decenni o secoli più tardi.  Cito : « A Utopia non si trovano donne che lavorino nel focolare, nè mendicanti, domestici, preti o nobili. La giornata di lavoro è di 6 ore … Il tempo libero è dedicato alle attività comuni come gli scacchi o le lettere » . Regnano la disciplina e l’ordine. Il progetto di More mirava a  criticare la sua società ingiusta, dove la miseria e l’oppressione facevano gravi danni ma l’autore ha invece scritto un’opera universale che dipinge i nostri desideri e speranze più profonde.

In questo modo l’utopia risponde a un’ esigenza politico – sociale ma è anche un sogno necessario e non soltanto un bisogno di scappare da una realtà insopportabile. L’ideale è indipendente da tempo e spazio, contribuisce alla nostra felicità e alimenta una speranza.

Ma, senza appoggiare il nostro cammino  sul sogno immaginario, la speranza non è che illusione.

 

Osservazioni finali

Abbiamo bisogno di sognare di giorno e di notte, di giocare, di approfittare di un legame intersoggettivo con gli altri perchè sognare rinvia ad una funzione paradigmatica di mediazione. Nell’Antico Testamente il dio invisibile appare ai profeti solo in sogno. Mosè soltanto non rispetta questa regola e Dio si serve di altre mediazioni : il bastone ardente e la sua voce. Il bisogno di sognare è  bisogno di avere intermediari. E’ anche il caso di Hermès, il messaggero degli dei, il dio delle mediazioni, dei viaggiatori, dei retori, dei commercianti, dei contrabbandieri. Figlio di Apollo, Asclepio, si serve dei sogni dei suoi malati per trattare i loro mali nel suo santuario a Epidauro. Gli arcangeli Michele e Gabriele sono gli intermediari della parola divina.Detto questo, ogni persona che realizza una mediazione prova piacere, cioè gioia e beatitudine. Questo perchè la mediazione sviluppa energia. Dipende molto da noi che questa energia non si disperda nell’aria ma che ci aiuti a crescere.

 

Traduzione Luciana Bianchera